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Il Piccione Viaggiatore - Decameron

Lettera prima

Da un`idea della Direzione Artistica della dante Genk, a cura di Alice Lenaz, in collaborazione con la scrittrice Manù Blanca.

Rekem, Belgio

13 gennaio 2022

Manù mia,

siamo nei primi 13 giorni dell`anno appena nato, un infante che certamente ha bisogno di cure e fiumi di latte e attenzioni. Ti scrivo così, come si faceva e non come si fa, che le memorie elettroniche si possono azzerare in un battito di ciglia, ma per distruggere un carteggio, non basta neppure il fuoco. Nel tempo della scrittura, della calligrafia, della scelta della busta, nel passare con l`inchiostro gli accenti delle parole, si avvia una malia. In principio nulla di più di una mezza cosa, che solo nell`arrivo della risposta, si completa. No mia cara amica, a processo compiuto, neppure le fiamme ne mutano l`essenza, così come resta impressa nella mente, per gli arabeschi delle lettere, per la musica e l`aroma della carta.

Sarà un gioco, tra noi, sarà un viaggio, di quelli senza corpo. Si dice che la lettura sia spostamento immobile e se non potrò esser io a volare sulla tua spiaggia, lo sarà almeno una busta che ho custodito fra le mani.

Veniamo da un tempo surreale e più lungo di ogni previsione. La crisi, il caos, molto dolore e tutto d`improvviso. A questo pensavo, quando proprio ieri, accomodata sulla poltrona che hai lasciato nel mio studio, tenevo gli occhi alla libreria senza decifrarne alcun titolo.

Mi sono domandata quante volte nella storia, porzioni di umanità anche enormi, hanno avuto a che fare con un audace, violento, mutamento di posizione dei cardini. Hai presente? Un tonfo, un forte contraccolpo, un passo deciso in assenza di pavimento. Qualche volta è accaduto in positivo, in direzione di una nuova verità, di una nuova scoperta. Più comunemente sono state le tragedie a disordinare le cose. Così, senza la pretesa di una risposta, ho sfogliato i titoli e tra due libroni di storia dell`Arte, compresso da tutte quelle figure, sospeso per la pressione, ho rivisto il taccuino degli appunti di letteratura di mio padre. La prima pagina era dedicata a Boccaccio…forse non sarà una risposta, ma il tempo teatrale è stato certamente perfetto.

Accetto subito il suggerimento e mi ci rituffo, distratta dalla precisione della calligrafia di babbo e dai mille pensieri fatti nel tempo della prima scoperta dell`autore. Un piccolo soggiorno fra i punti salienti della sua vita, un attimo di curiosità per la numerologia che compone l`anno in cui nacque, 1313, un volo di rondine sulle sue opere giovanili e poi, in cima ad una pagina, un titolo scritto in stampatello: DECAMERON.

Sapevo bene avesse nel proemio una delle più accurate descrizioni della peste fiorentina del 1348, ricordavo senza sforzo la storia nella storia, i dieci ragazzi che novellano e che, anche così, allontanano la mortifera pestilenza. Lo sapevo, ma incredibilmente, nonostante gli evidenti riflessi nello specchio del nostro tempo, non vi avevo fatto troppo caso. Un pensiero forse distante, disarcionato spesso dai monatti di Manzoni, e dal balcone dal quale il protagonista di Camus osserva e ascolta il dolore del contagio. Il Decameron…è con la peste che comincia.

Riprendo subito la mia copia, la stessa di mio padre, come ogni altro libro di sua proprietà, immacolata da ogni nota o sottolineatura, quelle si riversavano tutte nel taccuino. Rileggo allora il testo con gli appunti accanto. Salto velocemente dallo stile all`intenzione, supero la struttura da romanza medioevale, da exempla e da commedia elegiaca e mi concentro su quel che racconta, tra un racconto e l`altro. Stravagante giungere alle novelle dello svago, passando per il ponte della morte e del dolore, delle prime pagine. Si parte con compassione, in pena per il destino di tanta gente e in breve ci si scopre affrancati. Le risa, le invenzioni di quei giovani, lavano via le pelli corrotte e le febbri: dal male al bene, così come sempre dovrebbe essere. Ho ritrovato i nostri più recenti traumi, nella descrizione delle dipartite solitarie, quando scrive :

”…e pochissimi erano coloro a quali i pietosi pianti e l`amare lagrime dè suoi congiunti fossero concedute”.

Le parole di oggi, sagge di 700 anni sulla schiena, antiche e modernissime. Boccaccio distrugge la peste a colpi di creatività narrata. Si avverte con forza l`invito alla vita, il tentativo di rifondare una comunità attraverso l`esposizione, la storia che si racconta e, parola dopo parola, risana e ricostruisce. Non sono del resto le favole il diapason di una civiltà? E mai come nel Decameron la narrazione è una vittoria, sgomenta, profana e cortese e ironica, civile. Boccaccio è attento, profondamente analitico e sottolinea un`ammirazione sincera per le creature capaci di non farsi sopraffare dagli eventi, non importa quanto crudeli. L`ignoto scansato dall`attenzione per la fantasia…

E noi, amica mia, noi che passiamo oggi per la stessa spinosa cruna, come fuggiamo la paura, il vuoto? Quali sono le storie che ci raccontiamo?

Ti stringo, preparo un te allo zenzero, e attendo il ritorno del piccione.



Tua Alice

Ps: ma quest`oggi, per questa lettera senza titolo, così libera, chiamami Dionea.





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