SIMONE ALFARONE
Percorso
Ho frequentato il liceo Artistico Nicolò Barabino e l’Accademia Ligustica di Belle Arti, corso di Pittura, entrambi nella mia città: Genova. Il mio percorso poggia quindi su basi classiche, una formazione grazie alla quale ho imparato a vedere le cose del mondo, le forme, gli spazi. “Nasco” disegnatore figurativo, la pittura e il colore sono arrivati dopo e ad oggi, a parte la parentesi accademica, sono i due elementi che ho utilizzato meno.
Ispirazione
Ciò che mi ispira sta di fronte a me: amo disegnare ciò che vedo con una particolare predilezione per i volti delle persone. Avrò disegnato poco più di un migliaio di volti negli ultimi anni, ma forse solo un 10% li considero ritratti nella tradizionale accezione. L’esigenza di rappresentare un volto muove proprio dalla voglia di percorrerne la geografia, le forme, le masse, le linee. Il fatto che poi il risultato finale sia mimetico o che il soggetto si riconosca è una conseguenza. Ma non sempre con il “ritratto” ho colto l’interiorità del soggetto. In conclusione, credo di non essere mai stato un ritrattista puro.
Oltre ai soggetti, per quanto mi riguarda, l’ispirazione può scaturire da una canzone, da un’opera cinematografica, da una fotografia. Molto spesso vengo ispirato da opere o processi di altri artisti, contemporanei e non: Velazquez, Klimt, Mucha, Zorn, Doré, Freud, Toppi, Gipi, e recenti scoperte come Joao Ruas, Sachin Teng, ma potrei riempire pagine di nomi.
Come descriveresti la ricerca personale in ambito artistico?
È una ricerca basata molto sulla tecnica, sul miglioramento dell’uso di linguaggi visivi, in modo da poter scegliere quello più appropriato a seconda del messaggio che voglio lanciare, o di ciò che vorrei raccontare. Sono in una fase di studio, sento l’esigenza di ampliare il mio punto di vista, dopo aver passato anni a percorrere la via che mi ha condotto alla specializzazione nella rappresentazione di volti. Il tema dantesco è stata una straordinaria occasione per indagare e sperimentare nuovi approcci alla progettazione dell’immagine.
Qual è stato il tuo metodo di lavoro in relazione alle opere dedicate alla Divina Commedia?
Prima di tutto ho riletto la Commedia, quindi ho scelto di affrontare tre canti specifici: il Canto XIII dell’Inferno, il Canto XVI del Purgatorio e il Canto XXX del Paradiso. Il macro argomento su cui ho posto l’attenzione è il rapporto tra forma e contenuto, significante e significato, tentando di illustrarlo utilizzando tecniche miste e un codice. Ho voluto dare forma visibile alle parole di Dante, alla sua scelta di raccontare la storia strutturandola in versi endecasillabi a rima concatenata piuttosto che in qualsiasi altra forma letteraria, cercando di integrare la rappresentazione del testo in quanto tale con la rappresentazione del significato, degli aspetti narrativi di uno specifico momento del Canto. Nei miei disegni l’illustrazione figurativa, costruita in toni di grigio, di personaggi e ambienti dialoga con aree cromatiche a pastello in cui ogni colore corrisponde a una specifica lettera dell’alfabeto, generalmente quella iniziale del suo nome (A: arancione, B: blu, C: ciano, ecc) andando a creare l’immagine del ritmo nella storia.
Il processo che va dall’idea all’opera finale è fatto di bozze iniziali molto veloci tracciate a matita su fogli A4 che poi vado a lavorare e ampliare in digitale sfruttando la versatilità del medium, il terzo passaggio è nuovamente analogico, una versione complessiva dell’illustrazione in formato A3 in cui verifico le relazioni tra i materiali e gli effetti. Una volta definita le tecnica passo a realizzare l’esecutivo in formato 50 x 70 cm. Sono tre le tecniche dominanti che ho utilizzato per questo progetto, una per ogni Canto, scelte per rappresentare più efficacemente possibile gli elementi caratterizzanti gli ambienti dei tre Canti: l’inchiostro per gli alberi della selva dei suicidi del Canto XIII dell’inferno, la grafite per il fumo che acceca gli iracondi nel Canto XVI del Purgatorio e la tempera per la Luce del Paradiso.
Simone Alfarone
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